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CONTRO IL VECCHIO CHE AVANZA


Le 5 Piaghe della Presidenza Blangiardo

Quando la divisione delle nomine tra M5S e Lega consegnò, malauguratamente, a quest’ultima la scelta sulla Presidenza dell’Istat, fummo tra i pochi a “metterci la faccia”, sostenendo che il demografo Blangiardo fosse una figura politicamente inadeguata a dirigere l’Istituto Nazionale di Statistica. A distanza di anni registriamo che la sua inadeguatezza non stava tanto nell’ affiliazione politica, che è stato il principale motivo della sua nomina, quanto nella totale noncuranza con cui ha gestito un’amministrazione cruciale per i destini della società italiana. Mentre il Presidente, spalleggiato da una ex direttrice in pensione ingaggiata come consulente esterna, si diverte con inopportuni e inappropriati tentativi di commento sulla complicata fase storica che stiamo attraversando, in Istat è iniziato un periodo di declino di cui non si vede la fine. Un declino che è ormai diventato senso comune non solo tra i dipendenti. Proviamo ad elencare le criticità più evidenti, consapevoli che da questa crisi che investe l’Istituto a tutti i livelli, con impatti interni ed esterni, si uscirà solo con uno scatto innescato da noi lavorator3 in forza in Istituto.


1. Organizzazione


Il discutibile modello organizzativo a matrice, introdotto con la modernizzazione di Alleva, è stato di fatto boicottato e smontato dalla classe dirigente stessa senza il coraggio di definirne uno alternativo. Le uniche chiare tendenze sono:

  • cambiare i connotati agli uffici regionali, non tanto in funzione di un’idea organizzativa da implementare e sperimentare ma quanto nel tentativo maldestro di rispondere alla generalizzata carenza di personale. Così collegh3 degli UUTT sono chiamati a un surplus di lavoro: quello che si portano in eredità e quello derivante dall’assegnazione ai nuovi servizi distaccati della sede di Roma;

  • confermare, e non revocare nemmeno nelle circostanze più eclatanti, lo strapotere della generazione di direttori che governa l’Istituto dagli anni novanta e duemila. Una classe dirigente disinteressata al futuro organizzativo dell’Istituto in quanto a un passo o addirittura oltre il limite della pensione e che gestisce le strutture organizzative in una logica feudale in cui ciascuna è in competizione le altre (sul fronte delle risorse da accaparrarsi, delle responsabilità da sbolognare alla ricerca della maggiore visibilità e capacità di esercizio del potere).

Il sintomo più eclatante dello stato di deterioramento in cui versa l’Istituto è l'affermarsi di prassi decisionali ai limiti dell’eversione, che oramai sembrerebbero in via di naturalizzazione tanto si sono ripetute; una su tutte quella di assegnare (quando non di creare ex novo, alla bisogna) Direzioni/Strutture ad personam per Dirigenti pensionandi che devono concludere la carriera con l’esborso massimo per le casse dello stato o per ex Dirigenti che non si rassegnano alla quiescenza.

Ma la conseguenza più grave è quella per cui tutti noi paghiamo il prezzo più alto: il mancato reclutamento degli ultimi anni. Concorsi che non vengono banditi, utilizzo di canali naif come le call di mobilità da altri enti (onerose dal punto vista gestionale e fallimentari dal punto di vista dei risultati), un concorso da ricercatore che dopo 4 anni rischia di escludere la stragrande maggioranza dei partecipanti che hanno passato le prove scritte e la prova orale a causa di un’assurda soglia sul punteggio finale (un’operazione autolesionista al limite del danno erariale), bandi di concorso in cui non si riescono neanche a individuare ed indicare le aree disciplinari su cui operare la selezione (vedi l’ultimo bando da VI Cter in cui 100 tra 17mila candidati saranno praticamente reclutati a sorte). Anche questo è un frutto avvelenato di quella guerra tra bande, alimentata dai Dirigenti che vedono solo il proprio ombelico e che la Presidenza e la Direzione Generale non vogliono, non possono o non riescono a sedare nell’interesse dell’Istat e nella tutela delle sue funzioni.


2. Personale


Invece di occuparsi ossessivamente della crisi demografica del Paese, Blangiardo avrebbe potuto guardare in “casa sua” e accorgersi che la dotazione organica si è attestata per la prima volta sotto i 1900 dipendenti. L’Istat è l’unica Amministrazione che non ha reinvestito i risparmi di quota 100 assumendo personale. Che importa ai vertici? Dove lavoravano in due ora lavora uno!

L’unica soluzione paventata è quella di riaprire la stagione del precariato dopo che una dura vertenza aveva chiuso la questione nel 2017: le prossime assunzioni a valere sui fondi PNRR saranno nuovamente PRECARIE.

Questo canale assunzionale, diventato praticamente un tabù, torna in auge, grazie anche all’inerzia almeno quinquennale del Servizio deputato al reclutamento, che ha preferito forse occuparsi di contenzioso e procedimenti disciplinari, attivandosi persino al primo evento di mancato recupero del debito orario!

A questo si aggiunge la gravissima marcia indietro sull’unico vero avanzamento che ha riguardato il personale in questi ultimi anni, che ha innalzato la soddisfazione e il benessere percepito dei dipendenti senza intaccare la produttività (anzi crediamo facendola crescere) e che potrebbe alimentare un minimo di attrattività per le nuove generazioni da impiegare. Siamo parlando della forma di organizzazione estremamente flessibile sperimentata attraverso l’introduzione del lavoro agile durante l’emergenza pandemica e i rilevanti investimenti tecnologici che l’hanno resa possibile.


3. Salario


Le indennità accessorie della nostra busta paga sono 1/10 di quelle degli altri enti, mentre l’inflazione corre e si deve ancora firmare il CCNL scaduto nel 2018 e verrà firmato per il triennio 2019-2021 già andato!

Nel frattempo, gli enti del comparto vigilati dal MUR hanno visto un riordino nei livelli professionali che consentirà generalizzati avanzamenti di livello. I dipendenti Istat, come quelli degli alti Enti non MUR, ne sono rimasti esclusi. Sappiamo che questa è una partita esterna all’Istituto, ma che la Presidenza e la Direzione Generale non abbiano agito per evitare che un Ente del calibro dell’Istat fosse estromesso da questo processo di riordino del comparto è una grave responsabilità che gli attribuiamo sicuramente.

Tutto ciò mentre il Consiglio d’Istituto - bontà sua - trova urgente adeguare lo stipendio del prossimo Direttore Generale facendogli superare la soglia dei 200.000 euro annui.


4. Servizi


Negli ultimi anni l’Istituto ha gestito appalti/concessioni di servizi importanti. Il risultato è che alcuni dipendenti dei servizi di ristorazione sono stati licenziati, molti non ricevono lo stipendio da mesi o sono stati sotto-inquadrati. In compenso, la gara di appalto dei servizi di vigilanza, che ha visto l’insediamento di una nuova ditta, è stata bocciata dal Consiglio di Stato alcuni mesi dopo, con il rischio di dover pagare per alcuni mesi 2 volte il servizio (per la ditta che lo ha effettuato e per la ditta che il Consiglio di Stato ha dichiarato vincitrice). Anche su questo fronte occorre un deciso cambio di passo che sarà al centro della nostra attenzione a partire dalle prossime settimane.


5. Produzione


Oltre alla figuraccia sulla anticipazione del dato del PIL (ancora embargato) rilasciata dal Ministro Brunetta, in questi anni ci è toccato assistere alla mancata effettuazione nei tempi previsti di una indagine sotto regolamento europeo (EU-SILC) a causa della sciagurata scelta fatta anni fa di esternalizzare la raccolta dati, e più recentemente ad una rettifica su un dato strategico (l’import internazionale). Avvenimenti che potrebbero essere considerati fisiologici ma che invece dovrebbero spingere i vertici a una riflessione sulla catena di produzione e i suoi punti di stress, sulle modalità di diffusione, comunicazione e divulgazione.


Al contrario, sembrerebbe che i nostri Dirigenti non abbiano minimamente contezza che in un mondo in cui chiunque produce dati, in cui questi sono diventati ancora più strategici di prima, la Statistica Ufficiale ha dei compiti moltiplicati non diminuiti. Il Presidente manco a parlarne.


L’Istat dovrebbe esigere una riforma del Sistan in cui siano riconosciuti questi nuovi compiti e responsabilità accresciute che riguardano il governo della statistica da Big Data oltre che da indagini, registri e fonti amministrative. L’alternativa, che abbiamo ancora sotto agli occhi e che è destinata a sopravvivere all’emergenza sanitaria, è la stagione dei lockdown condizionati a un sistema di indicatori - gestito in maniera artigianale e opaca dalla Regioni, per limiti oggettivi e soggettivi (mancanza di risorse e di competenze adeguate) - che nessuno ha il potere di verificare e da cui dipende la vita delle persone.


È giunta l’ora di riprendere in mano questo Istituto, per l’Indipendenza della Statistica Pubblica.


NON PER NOI MA PER TUTT3

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