Del film di Todd Phillips ne sentiremo parlare ancora per molto tempo: l’interpretazione monstre di Joaquin Phoenix ha tutto l’aspetto di una statuetta aurea per il migliore attore protagonista 2019 e, la prossima notte degli Oscar, per quanto possa non interessare il patinato mondo di Hollywood, rinfocolerà il successo, già consistente, della pellicola. Un successo meritato sia per la critica sia per il pubblico che, notoriamente, sono come cane e gatto. Come si spiega un’ovazione così condivisa?
Perché, come cantava Frank Sinatra, “That’s life”: questa è la vita! "That's what people say”: questo è quello che la gente dice. Anche noi, lo diciamo e lo pensiamo, tragicamente o scherzosamente, qualche volta strizzando l’occhio, spesso allargando le braccia in segno di resa. Joker si prende la briga di descrivere gli effetti delle nostra continue alzate di spalle e del riverbero causato dalla nostra indifferenza. Joker mostra sconfitte sociali e débacle personali, e ci ricorda il nostro matrimonio di comodo con uno spietato modello economico (Ci spiace, gentili e bisognosi utenti, ma il servizio di assistenza chiude perché i fondi sono stati tagliati). Joker chiama tutti in causa, perché, ogni maledetta mattina, tutti noi indossiamo una maschera. C’è chi la indossa con più disinvoltura, chi, invece, sente tutto il peso dell'enorme dicotomia esistenziale.
Ma… “Questa è la vita”. Quella che ogni giorno ci fa ripercorrere inconsapevolmente il legame etimologico fra “persona” e “maschera”. “Persona”, in latino, significa “maschera”, proprio quella che nell’antichità gli attori indossavano in scena, con i tratti del viso esagerati per poter essere meglio individuati dallo spettatore. Todd Phillips riesce a trasformare questa fortissima antitesi concettuale in un vento teso che gonfia le vele della sua ultima opera. La densità di contenuti, esplicitati e sottintesi, rende Joker un diamante grezzo da modellare a seconda della sensibilità dello spettatore diventando così un’opera poliedrica. Joker non è solo lo spin off di Batman, non è solo un film su uno dei villain più famosi al mondo. Joker non è solo Joker. È una strana risata che si appiccica sul viso, lo deforma, non lo illumina ma lo infanga. È il fango di cui sono sporchi i deboli, i difformi, i reietti; è il fango del nostro fallimento come comunità. La pellicola mette le radici nei bassifondi, si nutre di miasmi. Punta sul fascino dei perdenti alle prese con l’ostinata e infruttuosa ricerca di emancipazione da una posizione sociale tutt’altro che fortunata.
Si insinua però il dubbio che la scelta “low society” non sia strettamente autoriale: i film della DC (quelli di Superman, Batman, Wonder Woman) da molto tempo soffrono, eccezion fatta per il Batman di Nolan, l’egemonia al botteghino dei film Marvel (quelli di Spider man, degli X-Men e degli Avengers). L’esigenza di trovare un quid che rendesse, allo stesso tempo, più umano, più accattivante e, soprattutto, più commercializzabile, un prodotto DC probabilmente ha pesato più di una genuina e popolana ispirazione da parte del regista che, non a caso, si fa “aiutare” (i meno maligni direbbero “rendere omaggio”) da celebri film del passato come Re per una notte e Taxi Driver (più che film celebre, cult movie). Entrambi con un certo Robert De Niro protagonista che compare (guarda il caso) anche in Joker, ma in veste di comprimario.
Breve digressione:
un giorno, quando sarà scemata l’infatuazione Phoenixiana, scopriremo che anche De Niro sfodera un’interpretazione altrettanto eccezionale .
Ma tutto questo è materiale per un altro film e per altre considerazioni, mentre dobbiamo seguire attentamente i passi della danza macabra del pagliaccio pazzo che rifiuta l’etichetta di nemico di Batman: Arthur Fleck, in arte Joker, è un comico che cerca il suo posto nel mondo. È un disadattato afflitto da una tragica patologia che lo costringe a ridere anche quando vorrebbe piangere. Arthur Fleck è un cittadino di Gotham City, una città che potrebbe essere Roma, anzi, la ricorda molto: cittadini incarogniti, criminalità largamente diffusa, immondizia invasiva. Un luogo nel quale sarebbe lecito pensare che solo un uomo forte, un sindaco sceriffo, un supereroe, potrebbe risolvere la questione. Ma il film ribalta anche questo ragionamento costringendoci a notare le somiglianze fra Batman (che non appare mai) e il classico sceriffo dei vecchi western americani in cui gli indiani appaiono come esseri satanici. Allora è sempre stato Batman il vero problema! Se ci affascina un mondo in cui servono i supereroi, è perché viviamo in una società fatta di super errori. Se Dylan Dog sostiene che “i mostri esistono, perché i mostri siamo noi”, Joker risponde, da fumetto a fumetto, che “i mostri non esistono, siamo noi a crearli”.
P.S.
A dispetto di quanto possa sembrare, "That's life" non solo è la colonna sonora perfetta per questo film, ma è una canzone da riscoprire in cui drammatiche liriche fanno da contraltare ad una melodia orecchiabile.
...I've been a puppet, a pauper, a pirate A poet, a pawn and a king I've been up and down and over and out And I know one thing Each time I find myself flat on my face I pick myself up and get back in the race...
Roy Batty
Comments