Nelle scorse settimane l’Istat ha avviato della procedura per l’elezione di un membro del Consiglio in rappresentanza dei ricercatori e tecnologi. Si tratta di una novità introdotta dal decreto 218/2016 che ha recepito la cosiddetta “Carta europea dei ricercatori” che prevede una “rappresentanza elettiva dei ricercatori e dei tecnologi”. La democrazia dunque arriva negli EPR?
La realtà è che oggi e domani una minoranza dei nostri colleghi è chiamata al voto per eleggere quello che non sarà un rappresentante di tutti i lavoratori, in un clima di surreale assenza di dibattito sul ruolo e sull’utilità di questa figura.
Su 1238 donne e 844 uomini e un totale di 2082 collegh+, sono stati riconosciuti dall’Istituto solo 850 aventi diritto al voto, che rappresentano poco più del 40% del personale impiegato all’Istat. Profondamente discriminatoria e anacronistica la scelta di escludere dall’elettorato attivo e passivo tutto il personale afferente ai livelli IV-VIII - che al pari di ricercatori e tecnologi contribuisce in modo sostanziale alla produzione statistica e alle attività di supporto.
Ancora nell’Anno Domini 2020 siamo costretti ad assistere all’indizione di elezioni senza suffragio universale, a sentire declamare come “Un importante passaggio democratico, applicato per la prima volta nell’ente” una consultazione escludente e dal sapore classista. La democrazia negli EPR ha ancora il sapore dell’apartheid, particolarmente in Istat dove, al contrario che altrove, l’esclusione dei lavoratori IV-VIII riguarda tanto la possibilità di candidarsi che quella di votare.
Viene quasi da sorridere a leggere dell’ammissione al voto del personale con contratto a TD: siamo pronti a scommettere che se queste elezioni si fossero svolte qualche tempo fa, quando la quota di precari sfiorava il 20% della forza lavoro, i nostri vertici non sarebbero stati altrettanto “magnanimi”.
Quello che però preoccupa forse di più è il tenore delle candidature, i contenuti (o forse di più i mancati contenuti) dei “programmi elettorali” e l’assenza totale di una riflessione sul metodo di lavoro che ci si propone di praticare.
In primo luogo non emerge in nessun dove l’idea che indire la procedura elettiva nel bel mezzo di una pandemia planetaria, con il personale confinato nel lavoro da remoto da quasi 4 mesi, in assenza di possibilità di dibattito assembleare de visu possa rappresentare un tentativo di depotenziamento ulteriore di uno strumento già di per sé debole e compromesso dall’assenza totale di democraticità.
Nessuno che pensi con noi che questa roba avrebbe meritato ben altro spazio di discussione e azione tra tutto il personale, in particolare per la componente rimossa dal diritto di voto? Nessuna tra le OO.SS. - che si sono tanto spese per ottenere che questa rappresentanza fosse recepita dallo Statuto dell’Istat - che abbia provato a chiedere un rinvio del voto? Nessuno nessuno.
Non possiamo poi evitare di notare che nessun+ delle/dei candidat+ ha pensato/provato a rendere collettivo e partecipato il processo di costruzione della candidatura attraverso, ad esempio, l’apertura di un dibattito pubblico antecedente alla formalizzazione della stessa. Nessun+ dei 13 candidat+ ha ritenuto in via preliminare di dover interpellare i colleghi, a cui si appella chiedendo il voto, e discutere con loro quali problemi, quali temi, quali priorità occorrerebbe porre all’attenzione del Consiglio d’Istituto. La gran parte ha confezionato la propria candidatura nella stretta individualità del proprio curriculum vitae, come fosse la domanda di partecipazione a un concorso – il più importante della propria carriera! - in cui si è in competizione con tutt+ e si punta sull’oggettività della competenza e su un presunto merito che non smette di perseguitarci.
Solo successivamente, dopo che qualche pedante si è preso la briga di fare notare alcune delle storture, a qualcuno è tornata la memoria. Ci sono state così email e telefonate riparatorie, emendamenti improbabili a programmi risibili che solo per mere esigenze di sintesi non avevano potuto ospitare prima nessuna delle riflessioni care a molti dentro questo Istituto. Qualcuno si è lanciato persino nel tentativo di dichiarare che l’insopportabile esclusione del 60% del personale e l’assenza di un metodo collettivo nella gestione della candidatura siano questioni talmente ovvie da essere scontate! Infine, per alcuni il livello di autismo sull’abc dell’agire collettivo non ha reso possibile upgrade di nessun tipo.
Resta fortissima, e inevasa, la necessità di costruire spazi di discussione e democrazia reale nel nostro istituto: spazi di tutti i lavoratori, per tutti i lavoratori. Siamo pronti a contribuire a crearli, è questo blog è un passo in quella direzione.
A nessuno invece andrà oggi il nostro voto, perché riteniamo che manchino le condizioni minime di agibilità ed opportunità per partecipare ed esprimersi e che in assenza di tali presupposti sia giusto e più significativo astenersi.
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