Il 22 ottobre il ministro Brunetta ha presentato alle organizzazioni sindacali le linee guida in materia di lavoro agile volte a regolare il cosiddetto rientro negli uffici pubblici in attesa dei PIAO e dei CCNL come strumenti regolativi dello smart working a regime nelle Pubbliche Amministrazioni.
In altri termini l’obiettivo è indirizzare la fase di passaggio tra il lavoro agile emergenziale e quello ordinario. Se di per sé tale passaggio è perfino augurabile, per sgomberare il campo da concezioni del lavoro agile come mera misura di sicurezza e prevenzione del contagio ed inquadrarlo come modalità acquisita del lavoro contemporaneo, le modalità e i termini in cui questo avviene sono invece estremamente preoccupanti.
Che la scelta indicata - tanto nel DM varato ad inizio ottobre quanto in queste linee guida - sia determinata non dalle reali necessità della PA ma dai desiderata di politici e funzionari ce lo dimostra proprio questo tentativo di coercizione ai consumi auspicata a più riprese dal ministro e spinta con l’obbligo di rientro nelle sedi fisiche degli uffici pubblici. O ancor di più il principio aprioristico di prevalenza in ufficio della prestazione senza alcuna distinzione tra organizzazioni molto diverse, che non tiene minimamente conto né delle condizioni in cui questa avviene, né delle effettive esigenze produttive e organizzative del lavoro svolto, meno che mai delle attuali misure di sicurezza.
Si ritiene obbligatorio far lavorare più persone in una stanza, con la mascherina perennemente indossata e le finestre aperte in pieno autunno/inverno, con il disturbo reciproco dovuto alle rispettive call quotidiane, e senza considerare l’aggravio di pressione sui mezzi di trasporto pubblico in una fase delicata come quella attuale. Tutto purché questo permetta di consumare al bar all’angolo.
Sarebbe peraltro facilmente dimostrabile come questa scelta in molti casi mini la produttività, la ostacoli, renda il lavoro inutilmente più gravoso e macchinoso e peggiori le condizioni anche di chi già lavora in presenza per garantire attività di sportello o per sua scelta personale.
Dunque, invece di approfondire il tema della disconnessione o di come il lavoro per obiettivi non diventi il modo di esacerbare i carichi di lavoro e rendere la prestazione una sorta di lavoro no-stop, in una continuità pervasiva senza limiti, si impone alle lavoratrici e ai lavoratori della PA di sottostare ad un atto di imperio non aderente alle necessità, di regalare quel tempo liberato dall’innovazione e di tornare quotidianamente nel traffico alla faccia della digitalizzazione.
Incrociando le dita e sperando di non ritrovarsi in una situazione simile a quella inglese, ma tanto in quel caso è già pronto il capro espiatorio dei contrari al Green Pass.
Di fronte a questo quadro come lavoratori e lavoratrici della PA non possiamo semplicemente aspettare la predisposizione dei nuovi PIAO (ex POLA) o la definizione dei CCNL (nel nostro comparto manca ancora l’atto di indirizzo, in contratto se va bene lo avremo in primavera, sigh), perché è proprio questo indirizzo, per quanto temporaneo, a dover essere contestato e radicalmente mutato. Sarebbe un errore restare in attesa e magari scoprire più in là che una norma transitoria è diventata (o peggio è interpretata) un indirizzo generale, anche attraverso l’annunciata modifica della legge 81/2017 (legge Madia sul lavoro agile, di cui al momento non si rinviene traccia nella documentazione delle commissioni parlamentari).
In Istat si è tenuta la scorsa settimana un’assemblea estremamente partecipata, con centinaia di colleghi connessi, che ha evidenziato la non disponibilità a tornare indietro sulle modalità di lavoro sperimentate e la necessità al contrario di guardare avanti, di capitalizzare le migliori pratiche assunte in questa fase emergenziale e di migliorarle invece di pensare a un obsoleto ritorno al passato auspicato da una parte della dirigenza Istat.
Occorre dunque confermare l’impianto del POLA approvato nel 2020, mantenere le misure di sicurezza necessarie allo svolgimento della prestazione lavorativa nelle migliori condizioni possibili e guardare a questa fase di transizione come momento di predisposizione al futuro più che di ritorno al passato.
Da questo punto di vista non convince la posizione attendista dei sindacati rappresentativi nel comparto, non è possibile aspettare convocazioni che tardano ad arrivare rischiando di dover fare i conti con disposizioni dell’ultimo minuto come già avvenuto nel caso dell’implementazione del Green Pass. Questo attendismo è tanto più pericoloso dal momento che la controparte non rinuncia alle sue mosse: in questi giorni diversi colleghi stanno ricevendo richieste di predisposizione dei piani di rientro per il mese di novembre, mercoledì 27 ottobre è convocata la conferenza dei dirigenti, mentre il 28 ottobre è in programma il Consiglio di Istituto.
Per queste ragioni è stata anche sollecitata la convocazione della RSU. Le decisioni legate all'implementazione del lavoro agile impattano sull’organizzazione del lavoro e sulla logistica, oltre che sulla sicurezza e questo chiama direttamente in causa le prerogative attribuite alla rappresentanza sindacale unitaria. Un coinvolgimento di questo organismo, democraticamente eletto dalle lavoratrici e dai lavoratori Istat e tenuto ai margini negli ultimi tre anni con la complicità delle OOSS rappresentative nel comparto, non è più rinviabile.
Tanto dentro l’Istat quanto su un piano più generale attraverso mobilitazioni comuni di comparto e dell’intera PA, dobbiamo tornare a incalzarli, a dettare i tempi e le priorità, a spingere in avanti chi vorrebbe tornare indietro. Lo abbiamo fatto in passato, possiamo ricominciare ora.
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