Il consiglio dell’Istat ha discusso lunedì 9 settembre il documento “Linee fondamentali per l’aggiornamento della struttura organizzativa dell’Istat”, che contiene alcune indicazioni sul riassetto organizzativo dell’Istituto che, da quasi un anno occupa in modo pressoché esclusivo il neo-presidente Blangiardo e il gruppo di dirigenti (già tali o “in pectore”) che lo hanno affiancato a partire dal suo arrivo.
Apprendiamo perciò che quest’anno è stato occupato da “una riflessione sui punti di forza e di debolezza del modello adottato nel 2016” che ha avuto come esito la decisione di “confermare l’impianto organizzativo complessivo, proponendo però alcuni aggiustamenti e innovazioni organizzative”.
Dunque, un semplice restyling del modello organizzativo ereditato dalla gestione Alleva? Qualche correttivo minore per ottimizzare la “business architecture” che ha impegnato le "migliori menti della nostra generazione" (che Ginsberg ci perdoni) e che ha prodotto la più ampia ipotesi di ristrutturazione funzionale e organizzativa dell’Istat degli ultimi 30 anni? Come sarà M2, la modernizzazione della modernizzazione?
Proviamo a riassumere, traducendoli dal gergo manageriale e allusivo del documento, i punti che verranno approvati nel Consiglio del prossimo 2 Ottobre:
La Direzione della Raccolta Dati (DCRD) passa sotto al DIPS. Nel documento si preferisce l'espressione gentile e sibillina “avvicinamento organizzativo”. Così uno dei quattro perni (con informatica, metodologia e comunicazione) del sistema dei servizi trasversali che avrebbero dovuto essere centralizzati e separati dalle linee di produzione tematica, viene ricollocato all'interno del processo produttivo. Un preludio alla "rimessa in silos" delle linee di produzione? Ciò, tra l’altro, impone un cambio di nome per il DIRM, che perde la lettera R che passa al DIPS.
All'interno del DIPS (o DIPSR a questo punto) verranno create due nuove Direzioni di Coordinamento, una Sociale e l'altra Economica. Si tratta di una novità assoluta: strutture prive di una funzione produttiva diretta ma con compiti di coordinamento tematici. Due mini-dipartimenti nel Dipartimento, ognuno col suo staff di supporto: un altro passo nella balcanizzazione feudale dell'Istat insomma..
La creazione di altre nuove Direzioni: una Direzione degli Uffici Territoriali, una Direzione Giuridico-legale, la divisione della DCSS in una Direzione socio-economica e una demo-sociale. Il saldo complessivo, se si tiene conto dell'unificazione delle attuali Direzioni di Comunicazione e Informazione, è pari a un totale di 4 Direzioni in più rispetto alle 12 attuali. Praticamente saranno tra poco a bando in Istat più nuovi posti da Direttore che posti da Operatore di VII livello nelle progressioni art.54 o da Ricercatore in una qualsiasi delle aree previste dal concorso del 2018.
Il passaggio della Direzione di Pianificazione Strategica sotto la Direzione Generale e la creazione di un Ufficio Stampa del Presidente. Si tratta di due scelte che ampliano il "potere esecutivo" e che pongono seri rischi, in uno scenario di crescente pressione politica e governativa sull'Istituto.
UN REPERTO PROVENIENTE DALL'ERA DELLA PRIMA MODERNIZZAZIONE (M1)
Come valutare questa bozza di progetto e cosa aspettarci dal prossimo futuro?
Ci sembra evidente che M2 nasca dal tentativo di raggiungere un compromesso tra il gruppo dirigente che ha gestito la prima modernizzazione (M1) e il gruppo degli esclusi: un compromesso che assolva i primi dai loro peccati (cioè dalla serie di disastri prodotti da M1) e alteri la struttura organizzativa esistente per far rientrare in gioco i secondi. Il tutto sotto l'egida di un Presidente arrivato nel quadro di un tentativo di "occupazione politica" dell'Istat, che nel frattempo ha già perso la sua copertura politica e che è alle soglie del pensionamento con seri dubbi su possibilità e opportunità di portare a termine il quadriennio.
Siamo chiari.
Complessivamente M1 è stata una specie di “esperimento catastrofico” che ha prodotto un disorientamento generalizzato dei lavoratori: gli spostamenti massicci (e ripetuti) di sede e di funzione, la presenza simultanea di punti di sovraccarico e altri di quasi totale svuotamento lavorativo, la burocratizzazione sempre più estesa dei processi, la separazione sempre più netta dentro le singole direzioni tra gruppi “votati alla causa” e resto della truppa, hanno modificato profondamente le relazioni di lavoro in Istat. Al tradizionale sistema feudale Istat, si sono aggiunte velleità manageriali e un gergo aziendalistico, vuoto quanto culturalmente dannoso.
Per uscire da questo avvitamento servirebbe una presa di coscienza e un'autocritica vera da parte del corpo dirigente dell'ISTAT, e qui siamo di fronte all'operazione opposta. Le novità organizzative proposte sconfessano in buona misura punti-chiave di M1, anche se si sostiene di "confermare l’impianto organizzativo complessivo". Ovviamente non ci sono colpevoli, anzi i manager sono tutti innocenti e promossi: ricordiamo che i soli dirigenti tecnici si sono distribuiti in questi anni complessivamente 254.090,86 euro di premi legati alla performance individuale, pari a 19.545,45 euro pro-capite, centrando immancabilmente tutti gli obiettivi.
Non solo, ma si aumentano le posizioni dirigenziali per non scontentare nessuno e per tutelare pensioni e TFR di chi si avvicina al momento dell'uscita di scena.
E' la conferma di una regola che abbiamo imparato in questi anni. Per chi governa l’Istat non si tratta affatto di definire in modo chiaro e razionale un processo di trasformazione e poi di individuare il gruppo dirigente capace di assumersi la responsabilità di realizzarlo: al contrario il processo stesso è concepito e introdotto (e spesso cambiato in corso d’opera) per giustificare ruolo e funzioni di un gruppo dirigente che alla fine è sempre totalmente irresponsabile dei risultati prodotti.
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