Gradualità, flessibilità, massima sicurezza.
Questi i principi che il Direttore Generale Camisasca richiama nella lettera inviata a tutto l’istituto per annunciare il progressivo rientro nelle sedi. È incredibile notare come la concreta realtà del piano di rientro si faccia beffe proprio di questi principi, sacrificati ai pruriti ingovernabili di Direttori obsoleti e finalmente prossimi al pensionamento, così come alla necessità strumentale di dare un segnale politico al paese: anche l’Istat riparte, non siamo noi la PA fannullona! In conseguenza di questo il confronto con le RSU e le OOSS si trasforma in semplice informativa, il rientro progressivo diviene immediato, la discrezionalità diventa obbligo in una girandola di significati rovesciati, che a noi dell’Improbabile piacerebbe segnalare:
Gradualità: in primo luogo l’Amministrazione si era fatta carico di un piano di rientro che non fosse condizionato dalla fretta, con tempi e tappe di verifica, organi di controllo e confronti continui. Negli ultimi giorni si è passati da questo approccio alla smodata ansia da rientro. Prima ancora che fossero restituiti i questionari del medico competente già si chiedevano ai capi servizio di stilare i piani di presenze (sulla base di che numeri se non si aveva cognizione di quanti fossero idonei?), arrivando all’assurda pretesa di far rientrare i colleghi previsti fin dalla giornata di oggi, con meno di 24h di preavviso dall’ultimo incontro sindacale che ha, per altro, avuto carattere di semplice informativa.
Il primo criterio con un colpo di bacchetta si trasforma da gradualità in tempestività.
Flessibilità: mentre l’accordo sindacale del 31 luglio indicava casistiche precise in cui il rientro sarebbe stato non ammissibile (riscontro del parere medico, figli minori di 14 anni, prestazione di assistenza familiare, domicilio fuori provincia) e addirittura invitava il dirigente a prendere in considerazione anche la propensione individuale, la realtà concreta si è trasformata in un mandato imperativo da parte dei capi servizio, la cui comunicazione ha nella totalità dei casi omesso di specificare le suddette casistiche e si è limitata a fare uno schema di rientro che garantisse la presenza quotidiana di una persona per stanza, senza alcun criterio volontario.
Dalla flessibilità alla saturabilità.
Massima sicurezza: ma probabilmente il paradosso principale si ha su questo ultimo principio. Proprio nel momento in cui i contagi tornano a salire e riguardano la regione Lazio in misura più importante di quanto non fosse durante il lockdown si registra per i vertici del nostro istituto l’urgente necessità di tornare in sede. Come se in questi mesi fossimo stati in vacanza e non a lavorare come se non più di prima. Come se raggiungere la sede con i mezzi pubblici metropolitani, magari prendendo bus e metro come molti di noi fanno, non aumentasse in termini considerevoli le possibilità di contagio. Come se la prossima riapertura delle scuole non fosse, già di per sé, un importante fattore d’aumento.
Dalla massima sicurezza alla massima indifferenza.
Ma perché dovremmo tenere in considerazione addirittura la responsabilità sociale se nemmeno riusciamo a tener saldi i principi che noi stessi evochiamo?
La cosa più imbarazzante è che così facendo si vanifica l’enorme quantità di lavoro svolto fin qui, la possibilità di ostentare con la lancia in resta la capacità innovativa nelle forme organizzative di un istituto pubblico, sovente appannaggio nella vulgata del settore privato. La scelta dell’amministrazione – e della PA in generale - ripiega invece assecondando il luogo comune del lavoro pubblico fannullone, lavativo, per cui lo smart working sarebbe stata una vacanza retribuita, per dirla come Ichino. Invece di rispondere con i risultati, si conferma indirettamente la maldicenza.
Se l’istituto non ha intenzione di attenersi ai principi di gradualità, flessibilità e massima sicurezza sarebbe bene che lo facessero i lavoratori, rifiutandosi, direttamente e tramite le loro organizzazioni di rappresentanza, di attenersi ad un piano di rientro tanto sconsiderato. Va detto che l’accordo del 31 luglio nascondeva delle insidie fin dalla sua stesura: non si capisce per quali ragioni il rientro sarebbe dovuto avvenire dal 1 settembre e non dal 15 come da circolare di Funzione pubblica, perché non viene utilizzato un principio razionale legato all’operatività reale e al conseguimento degli obiettivi e viene invece adottato un criterio casuale come quello delle sedi di appartenenza e una cifra del 50% dei dipendenti di pura facciata politica.
Per ripristinare dei corretti criteri di rientro sarà necessaria una mobilitazione, questa sì tempestiva, che vincoli il rientro ad essi e ad un imprescindibile aspetto di volontarietà, quantomeno nella fase iniziale. In caso contrario la responsabilità diretta di quanto potrebbe malauguratamente avvenire, anche in forma singolare, non potrebbe che essere attribuita a chi oggi compie questa scelta.
Comments